Enigmi della simbologia, Karl Von Eckartshausen

Enigmi della simbologia

Enigmi della simbologia 850 480 V.M. Kwen Khan Khu

Molto stimati amici e amiche:

mi fa piacere, in questa opportunità, farvi giungere un’altra incisione realizzata da Kark Von Eckartshausen, editata nel 1790, due anni dopo la prima edizione.

Enigmi della simbologia, Karl Von Eckartshausen

In quest’opera artistica possiamo apprezzare in primo luogo una sfinge che sembra morta, o almeno reclinata su una PIETRA CUBICA, e sui suoi lombi osserviamo un albero fiorito a metà, e per l’altra metà totalmente secco. Un nastro sostiene le due chiavi di San Pietro sulla sfinge. Osserviamo pure al di sopra dell’albero le due parole: SCIENTIA BONI ET MALI.

Che cos’è tutto ciò?

Per prima cosa dobbiamo affermare che la sfinge è l’immagine della natura. È per quello che saranno sempre presenti sul suo albero rappresentativo i frutti el BENE e del MALE. Quest’albero è lo stesso che si menziona nella Sacre Scritture cristiane, l’albero dell’EDEN.

Mediante la Gnosi ci è stato detto che tale albero è la sessualità e quest’ultima è un coltello a doppio filo. La sessualità, correttamente diretta, redime l’uomo, ma messa al servizio dei nostri aggregati psicologici ci schiavizza e ci fa degenerare, come sta avvenendo sempre di più con la nostra pseudo-civiltà.

È già risaputo da tutti noi che il frutto dell’albero edenico è la mela e che i devoti del cammino hanno diritto ad alimentarsi con gli aromi che essa espelle  ma non a divorarsela, poiché questo è quel che chiamiamo fornicazione. È molto triste che tutta la nostra umanità per secoli e millenni abbia voluto perdere le sue energie sessuali (divorandosi le mele), il che la allontanò dalle energie sovradivine dell’ESSERE e, di conseguenza, trasformandola in un’umanità perversa dominata dall’Ego animale e da sua madre la Bestia, il cui numero è 666.

Ai puri e sensati devoti del cammino stretto questo coltello serve per distruggere il loro psichismo animale y riprendere la loro normalità ed innocenza divine che prima il genere umano possedeva. Ciò è possibile mediante l’arte trasmutatoria che la Gnosi ci insegna.

Nell’opera LE DIMORE FILOSOFALI del V.M. Fulcanelli appaiono le parole di Eugène Canseliet che ci dice in uno dei suoi prologhi:

«Totus mundus in maligno (mali ligno) positus est; tutto il mondo è istallato nel diavolo (nell’albero del male).

Ecco qui, dunque, l’albero della scienza del bene e del male, quello del Genesi, di cui il Creatore ordinò ad Adamo di non mangiare, rivelandosi sin dal principio la conseguenza inevitabile e funesta: “Perché il giorno in cui ne mangerete certamente morirete; in quocumque enim die comederis ex eo, morte morieris”».

Ma, già entrati in materia, lo stesso Fulcanelli aggiunge nella sua opera alchemica queste parole:

«Tutti gli autori classici si mostrano unanimi nel riconoscere che la Grande Opera è un riassunto, ridotto alle proporzioni e possibilità umane, dell’Opera Divina. E siccome l’adepto vi deve apportare il meglio delle sue qualità si vuol portarla a termine, sembra giusto ed equo che raccolga i frutti dell’Albero della Vita e approfitti delle mele meravigliose del giardino delle Esperidi [qui va inteso che si parla di saper utilizzare la mela del desiderio]».

Parlandoci ora dell’albero secco della nostra incisione, l’insigne Adepto Fulcanelli ci dice quindi:

«…si tratta del nostro albero secco, lo stesso che ebbe l’onore di dare il suo nome a una delle strade più vecchie di Parigi, dopo essere apparso per molto tempo in una celebre insegna. Edouard Fournier ci racconta che, secondo Sauval, questa insegna si vedeva ancora verso il 1660. Designava ai passanti una “locanda di cui parla Mostrelet” ed era ben scelta per un simile stabilimento che, dal 1300, doveva essere servito da albergo ai pellegrini della Terra Santa. L’albero secco era un ricordo di Palestina, ed era l’erba piantata vicino a Hebron che, dopo essere stata sin dall’inizio del mondo, “verde e frondosa”, perse il suo fogliame il giorno in cui il Nostro Signore morì sulla croce, e allora si seccò. […]

Tale è il geroglifico adottato dai filosofi per esprimere l’inerzia metallica, ossia, lo stato speciale che l’industria umana fa assumere ai metalli ridotti e fusi. […]

I saggi ci dicono che sono morti, almeno, in apparenza, perché non è impossibile, sotto la loro massa solida e cristallizzata, indovinare la vita latente, potenziale, nascosta nel profondo del loro essere. Sono alberi morti, sebbene conservino anche un resto di umidità, i quali non daranno più foglie, fiori, frutti né, soprattutto, semi».

Che cos’è tutto questo, ci chiederà il lettore?

Il linguaggio alchemico fu per secoli di carattere metaforico. Solamente il benedetto Maestro Samael Aun Weor ebbe l’audacia di mostrare o svelare per la nostra umanità tutti questi segreti dell’Ars Magna. La cruda realtà di quel che qui si denomina albero secco non è altra che la disgrazia dell’essere umano che lo ha spinto per millenni a fornicare (ossia a perdere il proprio seme sessuale). Perciò ci viene detto che quell’albero (prima verde) produceva foglie, fiori e frutti, ma poi si seccò fino ai nostri giorni a partire dalla crocifissione del V.M. Aberamentho, poiché, nonostante i suoi insegnamenti, la stirpe umanoide continuò senza tregua ad attentare contro il sesto comandamento del decalogo mosaico. Certamente, sebbene resti umidità nella sessualità umana, la sua natura non produce più spermatozoi né ovuli e perciò è un semente morta, non adatta a compiere la Grande Opera interiore.

Se parliamo della sfinge della nostra incisione ci troviamo di fronte a un altro mistero. Essa è rappresentativa della natura intera per il fatto di inglobare nella sua struttura i quattro elementi, ed è prostrata, o più o meno addormentata, o forse sconfitta, per supplicare l’uomo di risvegliarla dal suo letargo, di ravvivarla, di rinnovarle la vita ecc. Perciò su di essa appaiono le due chiavi di San Pietro. Tali chiavi sono il simbolo dello Zolfo e del Mercurio del nostro lavoro di laboratorio, questione della quale abbiamo abbondantemente parlato nei nostri trattati. Chi lavora con quei due ingredienti ottiene la riconciliazione con la sfinge sacra dei misteri ermetici. Questo è il nostro compito, paziente lettore

Le parole in latino SPHINX MORIENS significano “la sfinge morente”, riaffermando quanto detto anteriormente.

La  roccia o pietra misteriosa su cui si mostra l’emblematica sfinge non segnala altra cosa che la Pietra dei filosofi, roccia sacra o materia cubica che porta il sigillo della forza solare. Nella nostra incisione tale pietra appare un po’ deteriorata, come se fosse stata dimenticata o abbandonata. Ed è che, certamente, l’ignoranza umana, essendosi allontanata intenzionalmente dallo Spirito, si allontano allo stesso modo da sua madre, la natura.

Sull’albero, come abbiamo già menzionato, appaiono in latino le due parole che sono in relazione con esso: Scientia Boni et Mali, da tradurre come ‘Bene e Male’, poiché fanno riferimento all’albero della scienza del bene e del male.

Permettetemi di aggiungere alcune frasi per la vostra riflessione:

«L’intelligenza non potrebbe rappresentare per molto tempo il ruolo del cuore».
La Rochefoucauld

«Niente purifica eccetto l’intelligenza».
Oscar Wilde

«Quanto più vasta è un’intelligenza più soffre per i propri limiti».
E. Thiaudière

«Non c’è luce che si accenda nell’intelligenza che non vada ad accendere il suo fuoco nel cuore».
Ahrens

«Non esiste assolutamente alcuna risorsa quando manca l’intelligenza».
Santa Teresa di Gesù

JUCUNDI ACTI LABORES
(I lavori fatti sono piacevoli’)

KWEN KHAN KHU